CONCLUSIONI

La valutazione della scuola.

La analisi svolta nel primo capitolo dovrebbe avere illustrato con sufficiente ampiezza quali sono le caratteristiche della scuola attuale; il difetto di tali analisi particolareggiate è quello di una certa miopia: per vedere i particolari si perde di vista la prospettiva di fondo (finendo così per accettarla implicitamente).

Ci si ferma così a discutere sul numero di ore, sulle materie, sull'organizzazione senza pensare che in fondo il modello di educazione che tutti gli stati europei si portano dietro è quello dei collegi gesuitici, il cui regolamento definitivo è del 1616 ((1)).

La disciplina delle prove scritte ricalca fedelmente quella degli esami finali e dei concorsi pubblici, così come la correzione degli scritti, la ripetizione della lezione da parte degli allievi, la struttura della lezione da parte dell'insegnante (lettura del brano, parafrasi, connessione con i precedenti) , il criterio di scelta ("nelle lezioni devono essere spiegati solo gli autori antichi, in nessun modo i più recenti").((2))



Un serio studio (ed una seria riforma della scuola) dovrebbe quindi non tanto aggiornare o rimaneggiare l'esistente, quanto ripensare completamente l'impianto educativo, senza trascurare di prendere in considerazione anche le ipotesi più "radicali". ((3))

Fatta questa premessa e considerato realisticamente che l'orizzonte sia di coloro che dovrebbero occuparsi della gestione della scuola, sia degli operatori del settore, sia dei fruitori del servizio è sicuramente più ristretto, possiamo capire meglio quanto acquisito dalla ricerca.

Possiamo capire perché materie e programmi della superiore siano ancora (sperimentazioni a parte) quelli del 1925; perché l'esame di maturità sia ancora ((4)) quello provvisorio del 1969; perché i 3/4 degli insegnanti si dichiarino soddisfatti del proprio lavoro (i maggiori motivi di insoddisfazione sono la bassa retribuzione e l'invadenza dei genitori) ((5)); perché anche gli allievi si dichiarino soddisfatti della scuola che hanno frequentato.



Se invece si prescinde da una visione della scuola "in sé", e ci si limita ad una visione della scuola in rapporto al mondo esterno in generale e a quello del lavoro in particolare si possono ipotizzare alcuni "aggiustamenti", avendo comunque sempre presente il carattere assolutamente parziale di tale operazione.

Dal punto di vista degli allievi (e dei loro genitori), la scelta di quale tipo di scuola frequentare è spesso frutto di scelte legate alla propria "immagine" della scuola, più che ai contenuti; mentre, stando a quanto emerge dalla ricerca e dagli studi in proposito, non c'è molta differenza tra un istituto ed un altro, quanto ai livelli di preparazione: quello che caratterizza una scuola (come ogni luogo di lavoro) è "l'ambiente" (e lo si scopre solo dall'interno e solo dopo un certo tempo).((6))

Anche dal punto di vista delle prospettive di lavoro, non ci sono significative differenze tra le opportunità offerte da una scuola o dall'altra: quello che importa è che il lavoro "fuori" ci sia.

Dal punto di vista dell'ente locale, o comunque degli organismi preposti alla programmazione scolastica, il problema di quali e quanti istituti mantenere sicuramente esiste ed ha importanti riflessi economici, occupazionali e sociali.

La tendenza attuale obbedisce a logiche estremamente semplificatorie, nonché fallaci: meno scuole = meno costi.

Non si può negare una certa verità a questo assunto, se non fosse ormai chiaro che ogni "risparmio" pubblico si traduce poi in un maggior onere "privato" che finisce col tagliare fuori gli strati economicamente più deboli (destinati a crescere così di numero) e, alla lunga, impoverisce anche il territorio.



Una ipotesi di intervento potrebbe essere quella di rendere coerenti formazione e occupazione o sviluppando quelle attività del terziario che potrebbero avvalersi dell'apporto dei diplomati esistenti o aprendo indirizzi non presenti che , già ora, garantiscono occupazione.

A questo proposito già nel 1977, in uno studio commissionato dal Comune di Bondeno ((7)) (allora nel distretto 34 assieme a Cento), si proponeva " di localizzare in Bondeno una quantità scolastica superiore strutturata nell'ottica della riforma, capace cioè di soddisfare la domanda interna per quanto riguarda il biennio unico di formazione superiore e che abbia dei momenti di specializzazione superiore strutturati in modo da non essere dei doppi di quelli che già esistono all'interno del distretto a Cento e soprattutto, in modo da essere coerenti con le esigenze della struttura economica del comune".

Fermo restando il primo punto (biennio unico secondo le proposte della commissione Brocca), alla luce di quanto cambiato nel frattempo (abbandono di Cento e unione con Ferrara) e fatto (tentativi di autonomia, sperimentazione informatica al liceo, Progetto '92 fino al quinto anno per l'istituto professionale), ci sembra di poter suggerire anzitutto il potenziamento dell'esistente: per il liceo e adozione delle proposte "Brocca" per il biennio e scelta di un indirizzo specialistico per il triennio((8)); per l'Istituto professionale un maggior raccordo con la formazione professionale e col "mondo del lavoro"; per entrambi un maggior collegamento tra di loro e con gli organismi di programmazione scolastica a livello locale.

Lo IAL è già fortemente investito dalle novità che investono il settore ( a tal punto che si può solo cercare di evitare che il suo sviluppo lo porti fuori dall'orbita bondenese) e potrebbe arricchirsi ulteriormente introducendo uno o più indirizzi tra quelli frequentati all'IPSIA dai molti giovani di Bondeno.



La valutazione del lavoro.

Si è detto sopra come si possa ipotizzare di intervenire sulla struttura del lavoro cercando di sviluppare il terziario: alla luce di quanto ormai assodato negli anni '80 (l'Inghilterra è stata il caso più eclatante) ogni tentativo di sviluppare il terziario, in quanto tale, è destinato al fallimento.

Come dovrebbe essere ovvio dal suo stesso nome, un terziario si configura essenzialmente come produzione di servizi, in presenza di consistenti produzioni di merci (agricoltura e industria); pertanto, in attesa di società futuribili che vedano questi compiti affidati all'automazione, non è possibile sviluppare il terziario senza porre uguale attenzione ad un equilibrato sviluppo di primario e secondario.



Questo non significa condannarsi all'immobilismo, ma cercare di favorire quei processi di sviluppo tecnologico ed organizzativo che richiedano, anche nell'agricoltura e nell'industria, professionalità più avanzate e, quindi, maggior scolarizzazione.

Dal momento però che questi settori sono praticamente in mano al privato e sottoposti "alla ferrea legge del mercato" ((9)), sembra più difficile per un Ente Locale (e ancor di più per il singolo cittadino) ricavarsi dei margini di intervento.

Invece, stando ai risultati della nostra indagine, ci sarebbe un maggior bisogno di cambiare qualcosa proprio su questo versante: l'insoddisfazione per il lavoro svolto è di gran lunga superiore all'insoddisfazione per la scuola frequentata.

Se non è possibile cambiare la situazione oggettiva del lavoro ((10)), bisognerebbe almeno cercare di cambiare la situazione soggettiva: troppo spesso le aziende non tengono in alcun conto il curriculum scolastico del candidato ((11)), ricavandone reciproca insoddisfazione.

Altra caratteristica negativa del lavoro in Italia, è la assoluta mancanza di mobilità (nel senso positivo del termine): se si escludono poche figure manageriali "alte", chi voglia cambiare azienda o, ancor peggio, tipo di lavoro, difficilmente riesce a farlo, visto che la tendenza (facilmente ricavabile dalle inserzioni) è di coniugare esperienza e giovane età.

E' logico, quindi, che (nonostante l'ottimismo di parte del nostro campione di indagine, che ritiene di poter trovare facilmente un altro lavoro), chi lo ha se lo tiene, anche se insoddisfatto, e finisce, a ragione, col considerarlo un proprio "patrimonio".

Questo spiega perché normalmente nelle inchieste di questo tipo, nonostante la insoddisfazione su stipendio, orario di lavoro, riconoscimenti ottenuti, rilievo suggerimenti, relazioni direzione-lavoratori (anche nel caso degli insegnanti), e possibilità di carriera, si finisca col dichiararsi" nel complesso soddisfatti".(12)



Le forme di integrazione scuola-lavoro

Se scarsi sono i margini di intervento pubblico sulla struttura del mercato del lavoro, maggiori sono le possibilità di far dialogare tra loro questi due mondi.

Varie sono le iniziative istituzionali adottate e adottabili: la forma più diffusa è quella della borsa estiva studio-lavoro, in pratica una sovvenzione data allo studente per lavorare in una azienda-ente, imparando qualcosa.

Di questo tipo di alternanza si sono avuti anche esempi locali, ma la casualità dell'intervento, la scarsa disponibilità dell'azienda-ente a farsi carico di un "reale" insegnamento, la necessità di fondi appositi, i criteri di assegnazione fanno pensare ad un'esperienza ormai negativamente conclusa.

Il quadro di riferimento in cui ci si dovrebbe muovere dovrebbe avere due valenze: quella formativa e quella informativa.

Nel primo caso si dovrebbero sviluppare rapporti organici e permanenti tra scuola e lavoro, con la mediazione dell'Ente Locale, che riguardassero anche stage non solo estivi (ma questo incontrerebbe le stesse difficoltà di cui sopra), ma, soprattutto, l'affidamento alle scuole di ricerche, collaborazioni utili allo sviluppo dell'azienda stessa ((13))

Se tutto questo sembra ancora troppo utopico, ci si potrebbe accordare per inserire nei curricula di studio degli obiettivi di ricerca concordati, venendo incontro anche alle esigenze di quegli insegnanti che ritengono che la scuola dovrebbe essere più "aperta" verso la società.(14)

Non volendo scontrarsi con queste inevitabili resistenze, si dovrebbero "inventare" (nel rispetto dei nuovi compiti assegnati alla formazione professionale) corsi integrativi alla scuola di stato, adeguati alle necessità locali, e fruibili presso i già esistenti Centri di Formazione Professionale.

Più semplice appare il compito "informativo", anche perché, ufficialmente, gli strumenti già esistono: l'Informagiovani, di cui ormai ogni Comune si è dotato, potrebbe essere uno di questi.

Attualmente però la sua attività rimane scollegata sia da quella della scuola e (anche per mancanza di personale adeguato) sia da quella del lavoro, limitandosi a fornire informazioni di carattere generale a chi vi si rivolge da privato cittadino.(15)

Un campo di azione comune in cui impegnarsi potrebbe invece essere l'orientamento sia perché nell'ordinamento della scuola è previsto, sia perché la conversione di un Informagiovani ad agenzia per l'orientamento è abbastanza facile (un esempio potrebbe essere lo S.P.I.O. di Ferrara) sempre a patto di collegarlo in maniera organica alla scuola, attraverso la figura (per ora fantomatica) del docente "orientatore".((16))

Infine, last but not least, favorire la produzione e la diffusione di ricerche che, periodicamente, facciano il punto sulla situazione scuola-lavoro.

1. SALOMONE M.(a cura di), Ratio studiorum. L'ordinamento scolastico dei collegi dei Gesuiti, Feltrinelli, Milano, 1979

2. Non è un caso che ,anche a Ferrara, le origini del liceo-ginnasio siano una diretta eredità del precedente collegio gesuitico ai primi dell'800.

3. Del dibattito sociologico abbiamo già accennato nel capitolo I, ma, periodicamente, anche dei "non addetti ai lavori" esprimono le loro perplessità in ordine all'utilità della scuola: per ricordarne un paio che sono stati citati ultimamente, anche da fonti giornalistiche, Pasolini o Papini.

4. almeno fino al momento in cui scriviamo queste note: febbraio 1993

5. CAVALLI A.(a cura di), Insegnare oggi.Prima indagine IARD sulle condizioni di vita e di lavoro nella scuola italiana, Il Mulino, Bologna, 1992

6. e per esperienza personale, non per valutazioni di seconda mano

7. COMUNE DI BONDENO, Struttura della pendolarità per lavoro e studio, materiale ciclostilato, 1977

8. considerando l'elevato numero di quanti frequentano l'Istituto Agrario di Finale e la tradizionale vocazione agricola del territorio di Bondeno, ipotizzare l'apertura di un indirizzo del genere, sfruttando il progetto di liceo-tecnico ipotizzato dalla legge di riforma della superiore in discussione al Parlamento.

9. almeno in apparenza, in realtà (cfr.F.PADOA SCHIOPPA, L'economia sotto tutela, Il Mulino, 1990) l'intreccio tra pubblico e privato è molto stretto

10. anche se molto si potrebbe fare per favorire il lavoro autonomo, eliminando molta burocrazia "interessata" ed una fiscalità passata dal "lassismo" alla "persecuzione".

11. o, al contrario, esigono l'ingegnere per poi fargli fare il "venditore" (Puledda V, Quegli ingegneri senza ponti d'oro, in Repubblica del 20-11-1992 pp.22-23 di Affari&Finanza)

12. anche per "un meccanismo di tutela del proprio self e per fornire una positiva immagine di sè all'intervistatore" (Bresciani:p.59).

13. Ovviamente questo presuppone la raggiunta autonomia delle scuole e la possibilità di stipulare veri e propri "contratti"

14. Inutile dire che questo avrebbe la immediata riprovazione della maggioranza del corpo insegnante e dei genitori.

15. Questo nonostante anche nella nostra regione, siano ormai attive numerose banche-dati specifiche o di categoria cui collegarsi

16. Secondo un'indagine del Censis (Rapporto 1992) su 100 giovani tra i 19 e i 21 anni, il 44,9% ha dichiarato che, se avesse posseduto informazioni più precise, avrebbe compiuto una scelta scolastica diversa da quella operata