II Il sistema economico

Il Piano Territoriale Regionale individua, all'interno della "area programma" ferrarese una sua "sub-area" occidentale che comprende comuni ferraresi (Bondeno, Cento, S.Agostino); bolognesi (Pieve di Cento); modenesi (Finale Emilia) e che potrebbe ulteriormente estendersi ai limitrofi comuni del rodigino.

Tale area, ha il compito di precisare meglio, sviluppandole, le sue caratteristiche e Bondeno, in particolare, deve integrare il suo ruolo in tale ambito.(1)



A. l'area in esame

Il comune di Bondeno è situato all'estremo limite occidentale della provincia di Ferrara (vedi carta), confinante con le provincie di Rovigo, Mantova, Modena. Si estende per una superficie di 17.517 ettari di cui circa l'87% destinati ad uso agricolo e forestale.(2)

Il consiglio comunale, espresso dalle amministrative del 1990, è composto da 14 consiglieri PDS, 6 PSI, 1 PSDI (che costituiscono la maggioranza) 7 DC, 1 Verde, 1 MSI; le ultime elezioni politiche dell'aprile 1992, hanno dato i risultati di cui al grafico II.0.

La popolazione residente ai vari censimenti, ha raggiunto il massimo nel 1951 con 28.016 unità per poi decrescere alle 16.841 di oggi (abbastanza significativo è il fenomeno inverso realizzatosi a Cento) Graf.II.1



Da una pubblicazione del Comune elaborata da censimenti Istat ((3)), risulta che la dinamica della popolazione è andata via via concentrandosi nei centri abitati, passando dal 9% circa nel 1861, al 65% del 1971, pur in presenza di una continua diminuzione della popolazione residente (seppure con ritmi diversi).

La natalità si mantiene pressocché costante (media del decennio '52-'61, 13,2%; media del periodo '62-'73, 13%), mentre , per contro, la mortalità tende ad aumentare (dal 7,6% al 10,4%).

Da questi andamenti deriva che l'incremento naturale della popolazione si è ridotto a quasi un terzo in valore assoluto fino alla metà degli anni '70.

Nell'arco dell'ultimo decennio il saldo naturale (differenza tra nati e morti) è andato accentuandosi; mentre il saldo migratorio ha registrato una crescita negli ultimi anni(vedi grafico II.2)(4)

Il decremento della popolazione si deve attribuire quindi, prevalentemente, alla diminuzione dei tassi di natalità, il che si riflette sulla struttura demografica, che vede aumentare la quota degli ultra-sessantacinquenni e diminuire sia quella da 0 a 14 (indice di vecchiaia) anni sia quella "attiva" (indice di struttura), con evidenti riflessi per la scolarità e l'occupazione.



Un modello ipotizzato dagli autori dello scenario citato prevede(in presenza di una natalità agli attuali livelli e con apporto migratorio tradizionale, ipotesi da prendere con molta cautela) una popolazione al 2001 di 15.480 abitanti, con ulteriore incremento della popolazione oltre i 65 anni e restringimento della base giovanile con decremento della popolazione attiva dal 64% dell'86 al 58% del 2001.(vedi graf. II.3)

Più in dettaglio, se guardiamo la tabella II.1 relativamente alle classi di età in età scolare (non suscettibili di variazione, a meno di immigrazione) constatiamo una tendenza ad una forte diminuzione -anche se non costante- che rende problematico mantenere in loco l'attuale numero di iscritti, con conseguenze sull'occupazione di chi lavora nel settore dell'istruzione.

In positivo si può ipotizzare che, essendo minore il numero di chi si affaccia sul mercato del lavoro -classe di età 20/24-, rispetto a chi ne esce -classe di età 60/64- (indice di ricambio 125,28 nel 1995 secondo la tabella II.1) sia meno difficoltoso, per chi attualmente frequenta la scuola superiore o l'università, trovare lavoro; a patto che il posto di lavoro lasciato libero sia ancora disponibile e compatibile con le esigenze di chi lo cerca.



1. Caratteristiche della popolazione attiva.

La ripartizione della popolazione attiva tra settore agricolo, industriale e terziario vede , per la prima volta nel 1981, il settore primario minoritario a vantaggio degli altri due (vedi tab.II.2).

La diminuzione ,in valore assoluto, degli occupati si giustifica col decremento della popolazione: la percentuale della popolazione attiva (42,9 nel 1971 contro 42,6 nel 1981) rimane pressocché costante.

Va tuttavia sottolineato il dato relativo alla popolazione non attiva (che costituisce la maggioranza rispetto alla popolazione residente) analizzando la tab.II.3 (relativa al 1981).

Da essa vediamo in dettaglio come si ripartiscano studenti, casalinghe, pensionati ai quali vanno aggiunti i 298 in cerca di prima occupazione.

Un'altra tabella (II.4) ci fornisce il dettaglio degli occupati per settore di attività e classe di età: ovviamente il maggior numero di forza lavoro lo fornisce la classe tra i 30 e i 54 anni, ma il dato che ci interessa è quello riguardante la classe di età 21-29, il cui aumento percentuale dal 1971 al 1981 sembra indicare una maggior facilità a trovare lavoro negli anni '70.(5)



Dalla stessa fonte, possiamo ricavare un grafico che divide gli occupati per settore di attività e per posizione professionale: ferme restando le rispettive proporzioni, vediamo come i lavoratori dipendenti siano quasi il doppio degli indipendenti e siano concentrati in prevalenza nell'industria. Graf.II.4



Quanto alle caratteristiche strutturali,per quanto riguarda l'agricoltura. dalla tab.II.5 ((6) ) risultano prevalenti le colture cerealicole e della barbabietola da zucchero, ma le rese risultano inficiate dalla bassa fertilità dei suoli derivanti dall'origine alluvionale dei terreni di solo recente bonifica.

La consistenza economica delle aziende (tra 25 e 45 milioni per azienda) pone Bondeno in una posizione intermedia tra le aziende della provincia (tab.II.6).

Il settore secondario vede la presenza di numerose imprese artigiane (sviluppatesi principalmente negli anni '60), caratterizzate però dalla presenza di un ridotto numero di occupati, uno o due addetti per impresa, in prevalenza appartenenti ai settori metalmeccanico e tessile.(7)

Confrontando i dati del censimento 1981 con quelli Cerved del 1989 (Tab.II.7 ) vediamo come la costruzione dei prodotti in metallo, per numero di addetti, risulta aver raddoppiato il suo peso percentuale, raggiungendo il 22,6% degli occupati; al terzo posto il settore edile ha perso alcuni punti percentuali dall'81 all'89; al quarto posto la costruzione di macchine passa dall' 8% al 6%; in aumento anche l'industria tessile.

Diminuiscono decisamente le classi 42 e 24, rispettivamente comprendenti lo zuccherificio e la produzione di materiali per l'edilizia (a conferma della crisi del comparto).



Se guardiamo il fatturato, troviamo 4 imprese bondenesi tra le prime 50 della provincia (tabella II.8) e precisamente:

- Eridania all' 11;

- FBM al 35;

- C.M.G. al 48;

- Ossind al 49.(8)

Prendendo sempre i dati del censimento 1981, disaggregati tra il settore secondario e il terziario, possiamo constatare che il totale degli addetti risulta inferiore alle cifre date nel riepilogo (cfr. tab II.9) probabilmente sia per il diverso metodo di raccolta dei dati - nel primo caso ci si rivolge ai singoli, nel secondo caso alle imprese- , sia per il fenomeno della sub-fornitura ((9)): in pratica imprese che operano fornendo parti e componenti a altre imprese del settore, sia perchè non tutti i lavoratori del settore operano nel territorio del comune (vedi oltre).

Infine il terziario vede la prevalenza delle attività di commercio al minuto; al secondo posto l'istruzione; al terzo la sanità; poi i trasporti e i pubblici esercizi.



Come si vede non è possibile alcun confronto con l'indagine dell'89 data l'alta percentuale di non risposte: bisognerà aspettare i risultati del censimento 1991, finora (febbraio '94) non disponibili.

Il tessuto economico di Bondeno, così come è stato illustrato, non è naturalmente "autosufficiente": come risulta dalle tabelle II.10,11: 910 persone, contro 324 che entrano, lavorano fuori comune, principalmente a Ferrara, Cento, Finale Emilia; più legato al territorio risulta il terziario (tab.II.12,13) che vede gli spostamenti principalmente da e verso Ferrara. ((10))

Un'ulteriore indicazione in tal senso è data dalle tabelle, II.14,15 ricavate dal censimento 1981 (come risposta alla domanda "luogo di residenza nel 1976) e da quella dei flussi commerciali

(tab.II.16)

In conclusione riportiamo un dato "definitivo": il reddito medio pro capite nell'87 (sicuramente un anno economicamente "migliore" dell'attuale), comparato a quello degli altri comuni della provincia.(tab.II.17) ((11)).

La interpretazione sulla matrice (Fig.1) risulta di immediata lettura, basta notare che l'asse verticale esprime i livelli di reddito e l'asse orizzontale la variazione (depurata dell'inflazione) in positivo o in negativo dall'83 all'87.





2. L'andamento della domanda di lavoro.

Una analisi storica del fenomeno la possiamo trovare sull' Annuario Economico CDS del 1990 ((12)):

« Gli ultimi 2 censimenti del 1971 e 1981 ci consentono di avere una contabilità sociale precisa dell'andamento della domanda di lavoro nel decennio di riferimento in provincia di Ferrara. Nel 1971 la popolazione attiva in condizione professionale ammontava a 153.166 unità, nel 1981 ha raggiunto le 159.313 unità, con un incremento di 6.147 unità, pari al 4%, una percentuale inferiore alla media nazionale (7.5%), a causa di una forte flessione del settore agricolo. la componente femminile ha avuto un forte aumento (+24%), anche se inferiore alla media nazionale (31.2%), mentre quella maschile ha subito un calo (-5.1%) superiore a quello che pure è avvenuto in media in Italia (-1.2%). Quanto alla struttura professionale nel 1971 la maggioranza relativa dei censiti apparteneva al settore agricolo con quasi 45.000 unità, seguita dagli addetti alla trasformazione industriale, mentre nel 1981 il settore agricolo, pur rimanendo il più numeroso con 34.832 addetti, subiva una flessione del 22.5% e quello della trasformazione industriale veniva sopravanzato, seppure di poco, dalle professioni amministrative e commerciali.

- Dal 1971 al 1981 la domanda di flusso, cioè le persone che sono entrate nel mercato del lavoro in condizione professionale, sono state un terzo circa dell' intero stock di lavoratori: 50.876 persone, delle quali 26.096 maschi e 24.347 femmine; la quantità di donne che entra nel lavoro è stata quasi pari a quella maschile, determinando quella crescente femminilizzazione del mercato del lavoro proseguita anche negli anni'80.

Di queste 50.00Q persone l'88% sono dovute alla domanda sostitutiva, cioè posti resi disponibili da persone uscite dal mercato del lavoro, e solo il 12% alla domanda aggiuntiva, cioè alla creazione di nuovi posti di lavoro, che sono stati pari in valore assoluto a 6.145 unità. .

La domanda di flusso nel periodo 1981 -1988 è stata particolarmente modesta in Provincia di Ferrara, in quanto ad una domanda sostitutiva di circa 28.000 persone occorre sottrarre una domanda "aggiuntiva" negativa di - 8.000 persone dovuta alle forti espulsioni soprattutto dell'agricoltura e dell'industria nel periodo "nero" 1981-83

La media delle entrate nell'area occupazionale offerte dal sistema produttivo ferrarese è stata pertanto di circa 2.900 unità standard di lavoro all'anno nel periodo 1981 -1988 anche se con una notevole differenza tra le difficoltà dei primi anni '80 e le maggiori opportunità dell'ultimo biennio

L'ipotesi più attendibile per i prossimi anni è quella di una lieve crescita occupazionale di 9.000 posti entro il 1998. Poiché tuttavia la domanda di lavoro è determinata quasi al 90% dal turn-over, anche una eventuale variazione rispetto alle nostre previsioni non sarà in grado di modificare la dimensione dei flussi di domanda di lavoro attesi.

Nella provincia ferrarese vi saranno fino al 1995 circa 4.500 giovani che annualmente entreranno nel mercato del lavoro, dei quali il 34% entrerà nell'industria, il 9,8% in edilizia, il 32.3% nelle assicurazioni, credito, pubblica amministrazione e servizi vari del terziario, il 15% nel commercio, il 9.3% nei settori dei trasporti e comunìcazioni. Nel terziario finiranno pertanto quasi il 60% delle nuove entrate, mentre nell'industria il 34%.

I prossimi 15 anni vedranno una offerta di posti di lavoro pari a circa 4.500 unità in ragione d'anno (3.800 circa di domanda sostitutiva e 700 circa di domanda aggiuntiva); si tratta di un incremento rilevante (+55%) rispetto ai primi anni '80, ma analogo a quello del decennio '70. La diversità del fenomeno sta nella dimensione dell'offerta di lavoro dei ferraresi, che diversamente dagli anni'70 e '80 declina rapidamente a causa dell'arrivo sul mercato del lavoro delle prime coorti dei giovani della "denatalità" e di tassi di scolarizzazione che sono attesi in crescita a tutti i livelli del ciclo scolastico (anche per l'elevazione istituzionale dell'età dell'obbligo a 16 anni).

Nel corso degli anni '70 e '80 i contingenti giovanili di forza lavoro che si presentavano sul mercato ferrarese sono andati +crescendo a causa della crescente partecipazione femminile, e traevano "origine" da una leva demografica di base che è sempre stata attorno alle 5.000 unità all'anno dagli anni'60 agli anni'80. Difficile dire con precisione quante di queste persone si presentavano annualmente sul mercato del lavoro anche perché il postulato della teoria neoclassica sul mercato del lavoro, che si basava su una dipendenza reciproca dell'offerta e della domanda di lavoro è stato messo in discussione dalla crescente autonomia che ha mostrato di avere l'offerta specie delle donne, dalla domanda. Noi sappiamo che l'offerta di lavoro maschile è stata sempre altissima (attorno al 95% nelle classi di entrata 20-49 anni) mentre quella femminile è andata crescendo, specie negli anni '70 e '80, pur non raggiungendo i valori maschili. E'del tutto evidente tuttavia che mediamente, in corso d'anno l'offerta di lavoro non ha mai superato la leva demografica di riferimento di circa 5.000 unità e che la domanda di lavoro é stata sempre costantemente inferiore all'offerta di lavoro.

Il periodo verso il quale ci avviamo si caratterizzerà invece per un graduale rovesciamento dei termini, avremo cioè una domanda tendenzia1mente elevata (o più elevata degli anni '70 e '80), ed una offerta tendenzialmente più ridotta degli anni passati che subirà una drastica riduzione a partire dal 1996 per arrivare dopo il 2000 con una offerta giovanile di poco superiore alle 2.000 unità medie in corso d'anno, vale a dire la metà del fabbisogno stimato di domanda di lavoro, con crescenti strozzature nell"incontro" tra domanda e offerta dove gli squilibri saranno più accentuati vale a dire per le lauree tecniche e scientifiche, per le professionalità manuali, non solo industriali, non qualificate o particolarmente gravose, che saranno ancora molto richieste dal mercato ma con una scarsissima propensione dell'offerta giovanile locale. »

La tabella annessa (II.18) indica quali dovrebbero essere le professioni più richieste dal mercato e la relazione si conclude affermando che: " il crescente 'gap' tra domanda e offerta di lavoro sarà occupato dalla immigrazione soprattutto extracomunitaria".

Col senno di poi ci permettiamo di essere un po' scettici su certi ottimismi: dalla tabella allegata (II.19), ricavata dal censimento 1981 (un periodo di crisi, d'accordo, ma qui a noi interessano i valori relativi) vediamo che la disoccupazione è sì maggiore all'interno delle categorie meno scolarizzate - anche se non perfettamente progressiva: colpisce più chi ha la licenza media di chi ha solo la licenza elementare; ma, in percentuale sul totale (come si può vedere anche dai valori assoluti: rispettivamente 0,1 e 179 per i laureati e 0,1 e 157 per gli analfabeti) non c'è praticamente nessuna differenza tra queste due categorie, benchè opposte per grado di istruzione!

Inoltre, come si può vedere dalla tabella II.20 , che riportiamo per intero, il titolo di studio non costituisce una discriminante assoluta nella posizione professionale.

Quali considerazioni si possono fare, alla luce dei dati suesposti? Da una parte che la necessità di professioni nuove o meno nuove non implica necessariamente l'impiego di personale adeguatamente scolarizzato ((13)); dall'altra che non manca in loco materiale umano da impiegare prima di ricorrere all'immigrazione , che porta poi con sè problemi di altro genere.((14)).

Nel 1991 la situazione nel ferrarese ci è così descritta dall' Osservatorio provinciale sul mercato del lavoro: ((15))

"I dati definitivi del 1991 indicano che l'occupazione del Comune di Ferrara (che pesa per il 40% sul totale provinciale) avrebbe avuto una flessione di circa 700 addetti a causa di una flessione dell'industria (-1,2%) e dell'agricoltura, mentre stabile è segnalato il terziario.

Nonostante questa lieve flessione del tasso di occupazione (passato da 40,8% al 40,5%) il tasso di disoccupazione del Comune capoluogo è ulteriormente.sceso ( da 9,6 del 1990 a 9,0 nel 1991).

Sulla base di questa informazione e dell'andamento dell'indice pmovinciale desunto dal rapporto tra iscritti disponibili al collocamento e popolazione attiva, ci pare di poter azzardare l'ipotesi che il tasso provinciale di disoccupazione sia ulteriormente sceso da 9,1% del 1990 all'8,8% nel 1991.

Una conferma indiretta di queste tendenze viene dalla consueta indagine svolta dall'Ufficio Provinciale del Lavoro su un campione di imprese con almeno 5 addetti, rappresentative della totalità. Si tratta di un campione estremamente significativo, in quanto raccoglie un terzo dell'intera occupazione provinciale e di quella presente nelle aziende di maggiori dimensioni.

Tali dati indicano al 31/12/91, rispetto al 31/12/90, una flessione di 1330 addetti, pari ad una variazione percentuale di -2,3%.

I settori dell'agricoltura e industria avrebbero perso rispettivamente 80 e 1022 addetti (var.% -3,3% e -4,1%), l'edilizia 231 addetti (-5,1%), mentre solo il terziario sarebbe riuscito ad evitare una flessione occupazionale, rimanendo però stazionario, come non accadeva da molti anni....

Nell'ipotesi, molto attendibile, che anche le imprese di dimensioni minori abbìano avuto una perdita quasi analoga in proporzione,pur eonsiderando i benefici della ottima stagione turistica,.stimiamo che la flessione dell' occupazione provinciale sia oscillata dalle 2000 alle 2500 unità....

Per quanto riguarda la disocccupazione per sesso, risulta che quella femminile è l triplo di quella maschile (15% contro 5%).

Mancando dati ufficiali sulla disoccupazione, viene utilizzato come "indicatore" il dato degli iscritti al collocamento ((16)), che però lo studio citato dimostra essere, per la provincia di Ferrara, abbastanza attendibile.

Nella tabella II.21, vediamo come il comune di Bondeno, dall'88 al '91 ha visto crescere tale indice, il che lo colloca nel quadrante inferiore sinistro della matrice di posizionamento sotto riportata.(Fig.2)

II. B. Quadro economico e politica scolastica

I dati relativi all' inserimento dei giovani nelle attività lavorative lasciano supporre che il mercato del lavoro sia giunto, nella fine del decennio, ad un vero e proprio punto di svolta, che porterà, negli anni novanta, ad uno stravolgimento delle sue caratteristiche più importanti ed evidenti.

Infatti, nonostante al momento attuale gli aspetti più critici del mercato del lavoro continuino ad essere quelli che hanno caratterizzato gli ultimi anni (disoccupazione in generale e disoccupazione giovanile in particolare), è possibile cogliere ed evidenziare alcuni segnali che indicano come negli anni '90 tenderà ad evidenziarsi il problema della disoccupazione adulta, mentre, contemporaneamente, si creeranno carenze in alcune fasce dell'offerta di lavoro giovanile; ... questo perché, accanto alla netta diminuzione prevista per la popolazione in questa fascia di età, il mercato del lavoro sta assumendo in questi anni alcune caratteristiche che lo rendono sempre più adatto al lavoro giovanile.

Per il problema della disoccupazione degli adulti valgono delle considerazioni diametralmente opposte: da una parte il loro numero aumenterà, dall'altra le frequenti innovazioni delle tecniche produttive metteranno a dura prova le capacità di adattamento (soprattutto per i disoccupati in senso stretto) della forza lavoro adulta.((17))



Dalla tab.II.22 ((18)) possiamo però vedere che, anche all'interno dei giovani scolarizzati, i diplomati hanno maggior difficoltà dei laureati a trovare lavoro (vedremo più in dettaglio il fenomeno nella parte III), in parte per la quantità, in parte per la qualità delle competenze acquisite.

Una politica scolastica che volesse rispondere a queste "sfide del nuovo ciclo" dovrebbe:

a) riqualificare la scuola superiore;

b) approntare dei centri di formazione permanente per adulti;

c) operare in prospettiva di un mercato del lavoro europeo.

Del primo punto si è ampiamente riferito nel Cap.I, qui va solo aggiunto che per recepire una direttiva CEE, talune professioni (geometri, periti industriali ecc.) cui in Italia si accede col solo diploma di maturità tecnica, richiedono, per l'iscrizione professionale agli albi ,dei percorsi di formazione minimo biennali.

A questa esigenza non si sa fino a che punto potranno far fronte le c.d. lauree brevi o invece degli appositi corsi di formazione post-secondaria da attivarsi di concerto tra scuole, regioni (attraverso enti o centri di formazione professionale), aziende (pubbliche e private, camere di commercio, associazioni di categoria); attualmente la precisazione di tali proposte si può definire "fluida".

Sulla formazione degli adulti c'è già una apposita estensione del progetto '92, (vedi scheda II.1) che però non mi risulta essere già operativa nella nostra zona ; anche in questo caso sembra prioritario trovare un accordo tra gli stessi soggetti sopracitati.

Per il terzo punto Cfr.II.B.2



II.B.1 Scuola e industria

Sembra opportuno distinguere tale rapporto in due casi: la formazione in azienda e la formazione per l'azienda.

Sul primo punto riportiamo una valutazione di G.Bocca: ((19))

"La cultura e le modalità operative della formazione aziendale (almeno per le funzioni medio-alte) possono contare su un consolidato di qualità.

Si tratta però di un fenomeno riservato alla grande azienda; le medie e piccole, invece, in campo formativo hanno esclusiva esperienza della formazione connessa con i contratti di causa mista (apprendistato e contratti di formazione lavoro), cioè quasi nulla).

Se si sposta l'attenzione dai luoghi e soggetti della formazione alla tipologia di formazione da erogare, ci si imbatte nuovamente in realtá e fenomeni di forte complessità e di difficile interpretazione; infatti le varianti procedurali e organizzative che si riscontrano nel sistema produttivo, necessario riferimento alla formazione professionale per la individuazione degli obiettivi delle sue azioni formative, presentano infatti modelli eterogenei e multiformi. Ad ogni modo, nell'ottica dei rapporti tra sistema aziendale e sistema regionale, particolare rilievo assumono i contratti a causa mista , anche per le dimensioni quantitative che essi presentano: basterà in proposito ricordare che nel 1989 risultava inserito nel lavoro, attraverso tali contratti, oltre un milione di giovani in età 15-29 anni, pari ad un quinto di tutti gli occupati della stessa classe di età.

- Quanto all'apprendistato (che interessa oltre il 65% dei giovani occupati in età compresa tra i 15 e i 29 anni, (prevalentemente impegnati in aziende artigiane) la normativa che regolamenta l'istituzione evidenzia, come è noto le finalità e le modalità formative (on the job e mediante appositi corsi di formazione complementare, la cui programmazione e attuazione è di competenza regionale); di fatto, però, le finalità strettamente occupazionali sono progressivamente diventate prima prevalenti e poi esclusive mentre, parallelamente, quelle formative hanno subito un processo di marginalizzazione fino all'eliminazione di qualsiasi modalità formativa complementare. La stessa proliferazione di normative regionali che prevedono incentivi per l'assunzione e/o stabilizzazione dell'apprendista sembra testimoniare un atteggiamento culturale centrato più sulla emergenza occupazionale che su quella formativa.

Dal canto loro, i contratti di formazione lavoro certamente rappresentano attualmente un diffuso e promettente strumento istituzionale di politica attiva dell'occupazione; nel 1989 essi interessavano circa un quinto degli occupati in età 20-29 anni. Anche per essi tuttavia va sottolineata la carenza sostanziale di spessore formativo; infatti:

- l'adozione di progetti standard (conformi alla regolamentazione concordata tra le organizzazioni sindacali nazionali maggiormente rappresentative), di fatto deresponsabilizza l'azienda da un impegno di analisi e progettazione formativa, e questo finisce per rendere la formazione meno realisticamente calibrata;

- la tipologia di aziende che prevalentemente fanno ricorso ai contratti di formazione-lavoro (e che si collocano nella classe di ampiezza fino ai 49 addetti) non sembra strutturalmente in grado di supportare processi formativi con un alto livello qualitativo; - il tetto minimo riservato alla formazione dei contrattisti di 40 ore teoriche (80 per le qualifiche piu elevate), stabilito nell'accordo del 21 gennaio 1989 tra Confindustria e Sindacati, appare una garanzia insufficiente per una utenza che in larga misura presenta una bassa scolarità di base (il 68% è in possesso del solo obbligo scolastico).

In conclusione, tanto per il contratto di formazione-lavoro, quanto per l'apprendistato, sembra prospettarsi la necessità di una ridefinizione degli strumenti normativi, per ricentrare l'attenzione sulla loro valenza formativa; necessità tanto più urgente, se si considerano le dimensioni dell'utenza e il relativo fabbisogno formativo. (vedi scheda II.2)



Sul secondo punto, la formazione per l'azienda, possiamo rifarci a quanto contenuto in uno studio di origine confindustriale che ribadisce la richiesta che la scuola realizzi l'obiettivo di una qualità di massa (20).

Le modalità sono illustrate in un articolo di Guadalupi ((21)) che dice:

«Quali le ipotesi di struttura per la realizzazione della 'qualità di massa' ? Intanto una scuola che si ponga come prioritario questo problema deve privilegiare la formazione di base, ossia curare l'"acquisizione consapevole degli statuti di alcune discipline fondamentali (lingua e letteratura italiana, lingua estera-almeno una-, logica matematica scienze sperimentali, scienze economico sociali), accompagnata dalla acquisizione del paradigma applicativo di almeno un ramo di una di queste discipline".

Si tratta in altri termini di curare la professionalità nelle sue tre naturali dimensioni:

- teorico formale, secondo le valenze scientifiche, tecnologica e tecnica;

- pratico operativa, secondo le valenze configurabili come mestiere, abilità e creatività;

- ideologico sociali, correlatamente alle valenze riguardanti valori umani e sociali, curiosità culturali (a parità di competenza, le aziende preferiscono professionisti con significativa apertura mentale e con polidirezionale curiosità culturale) e mentalità associativa.

Non é facile ipotizzare quali siano le conoscenze e le competenze che già fra pochi anni saranno professionalmente indispensabili: sicuro é che si avrà basilare bisogno di operatori dotati di particolare senso logico, adeguato spirito critico, capacità di interagire correttamente con persone e strumentazione, capacità di comunicare funzionalmente, flessibilità e capacità di adattamento critico, maestria nell'imparare continuamente a imparare, dimestichezza generale nel campo dell'informazione, conoscenza di almeno una lingua estera di rilevanza internazionale, dimestichezza con software e hardware informatici.

Si tratta certamente di strumenti mentali, culturali, professionali, il cui possesso e uso sono fondamenti, sono la condizione sicuramente necessaria ma di certo non sufficiente.

Quale l'effetto dell'auspicata 'qualità di massa' sull'attuale struttura biennio-triennio?

Senza apportare sostanziali modifiche di contenuto, si tratta di sostituire alla ipotesi attuale, fondata su un profilo professionale standard, quella di una maggiore personalizzazione del percorso di apprendimento, indispensabile per raggiungere l'obiettivo della 'qualità di massa'.

Naturalmente, curando meglio la formazione di base, consegue qualche carenza in termini di specificità. L'ipotesi correlata con la 'qualità di massa', prevede, complementarmente a quanto descritto, l'attivazione di brevi corsi essenziali e flessibili in funzione delle esigenze del mercato del lavoro , e precisamente:

- in serie per coloro che intendano accedere a professionalità per le quali sia necessario un percorso supplementare;

- in parallelo, per coloro che decidano di abbandonare gli studi o alternare periodi di studio a periodi di lavoro e abbiano perciò bisogno di acquisire professionalità (necessariamente minori) che consentano di collocarsi senza avere conseguito il diploma.

In questa nuova visione la polivalenza viene perseguita non più tanto sul piano della completezza degli ambiti di contenuto tecnico-strumentale, quanto su quello della maturazione di stili cognitivi, di apprendimento ed esecutivi.

Questa concezione e il relativo modello vengono, fin dall'origine, designati con la denominazione di Liceo Tecnico.»

"

Tale obiettivo è stato sperimentato col "caso I.TE.R." (Istituto Tecnico per Ragionieri, a Roma, e il primo triennio sperimentale dovrebbe essersi concluso con l'anno scolastico 1991/92) e l'autore invita chi volesse saperne di più a rivolgersi a:

- I.T.C.S. "Medici del Vascello" Roma;

- Confindustria;

- IRI/Ancifap.

Qui ci limitiamo a riportare il Protocollo d'Intesa tra Ministero P.I. e Confindustria (Cfr. scheda II.3 )

II.B.2 L'integrazione europea

In questa sezione, che vede la scuola in funzione delle esigenze economico-produttive,l'analisi dei 'modelli' europei viene condotta unicamente considerando il tipo di approccio al problema dell'inserimento al lavoro.

Secondo Satta ((22)) un primo modello, definito "strutturale" è quello praticato nella Repubblica Federale Tedesca e nel Belgio (e. parzialmente, anche in Lussemburgo), caratterizzato dal prolungamento dell'obbligo fino a 18 anni e dalla possibilità di seguire, negli ultinìmi tre anni, corsi di Formazione Professionale, part-time.

Un secondo modello, definito "psicopedagogico" è quello di Danimarca, Olanda, Irlanda, Inghilterra, Portogallo, in cui viene curato soprattutto lo sviluppo della personalità e dell'identità sociale e la formazione professionale è distinta dal sistema scolastico.

Il terzo modello è quello definito "contenutistico", di Italia, Francia, Spagna e Grecia in cui, a differenza del precedente , la scuola non si pone il problema di educare all'inserimento, ma di far acquisire, per indirizzi, i contenuti di determinati insiemi di figure professionali (di tipo 'intellettuale'; per quelle 'manuali' viene delegata la Formazione Professionale).



Tutti questi sistemi scolastici , negli ultimi 10 anni,(a parte l'Italia) hanno apportato modifiche al loro sistema di istruzione superiore in termini di:

- prolungamento dell'obbligo scolastico;

- qualità e ampiezza della formazione culturale di base;

- flessibilità strutturale e didattica;

- importanza dell'orientamento.

Per la Formazione Professionale, le modifiche sono state nel senso di:

- distinzione funzionale dalla scuola;

- flessibilità in rapporto ai bisogni del mondo produttivo;

- istituzionalizzazione di standard qualitativi;

- integrazione delle imprese nel sistema;

- generalizzazione a tutti i livelli ed ambiti produttivi ((23)

)

Se vogliamo leggere cosa dice il tanto citato trattato di Maastricht in tema di Istruzione e formazione professionale (vedi scheda II.4), possiamo facilmente renderci conto dei ritardi accumulati dall'Italia sia per il sistema scolastico in generale (dove appare indispensabile arrivare almeno a strumenti di valutazione e di certificazione comuni per permettere realmente il libero circolare di lavoratori tra Stati membri) sia per la Formazione Professionale (frenata da una concezione riduttiva e da conflitti di competenze).



Proprio su quest'ultima si sono invece concentrate le forze della Comunità Europea che, oltre alle ricordate iniziative del Fondo Sociale Europeo (FSE) che cofinanzia al 50% le azioni (corsi) dirette a lottare contro la disoccupazione di lunga durata (più di 12 mesi) di persone con età superiore a 25 anni; nonché quelle dirette a facilitare l'inserimento professionale di giovani sotto i 25, finanzia una nutrita serie di programmi comunitari nel campo della formazione (vedi scheda II.5 ) (24)

II C Tra scuola e lavoro

Se nel primo capitolo abbiamo fatto notare la crisi del concetto di centralità della scuola, qui non possiamo fare a meno di passare in rassegna le posizioni di chi si interroga , allo stesso modo, riguardo alla centralità del lavoro.

Per farlo seguiamo la falsariga di un ben documentato articolo di Orsi ((25)) che inizia citando Touraine "allorché afferma che il post-moderno non si basa più sul principio della colpa, tipico della società del lavoro, ma sul principio del piacere. Conseguentemente egli tira inevitabili conclusioni:« Bisogna dunque che noi abbiamo una coscienza molto viva della specificità della società del lavoro, per avere il coraggio di cercare in modo totalmente nuovo altrove un nuovo principio strutturatore

(...).Quindi ciò che è stato al centro della società -il lavoro- è sostituito oggi dalla produzione dei valori culturali, dalla nozione di soggetto».((26))

...Soffermandoci ancora sul livello teorico, non sembra inopportuno riferirsi alla riflessione marxiana sulla liberazione del mondo dalla necessità e cioè sulla liberazione dal lavoro. E' nota l'ambiguità del pensiero di Marx a tale proposito: egli oscilla tra la propensione verso la liberazione del lavoro e la propensione verso la liberazione dal lavoro.(...)

Nello scenario 'abolizionista' si ipotizza un progressivo affrancamento dell'uomo dal lavoro: la fabbrica robotizzata ne sarebbe insieme l'emblema e l'obiettivo eminente.

Evolutivamente verifichiamo pertanto il passaggio dala società pre-industriale -dove il lavoro pervasivamente occupava la vita della stragrande maggioranza, mentre le élite dominanti si dedicavano all'ozio, alla preghiera, alla guerra o alla caccia ((27))- a quella industriale.

In questa, assistiamo alla liberazione dal lavoro, sia in termini spaziali -con la mobilità delle masse-, sia in termini temporali, il lavoro è confinato ad una parte della giornata ed a una parte della vita... Si passa così alla società post-industriale, nella quale, una volta soddisfatti i bisogni materialistici relativi alla produzione, il lavoro viene ad essere confinato in tempi di vita ristrettissimi, se non del tutto abolito...L'approdo evolutivo viene ad essere costituito da una società del tempo libero, dell'ozio, estendendo a tutti la condizione che Veblen circoscriveva alla sola classe agiata.((28))

Un'utopia del genere è intravista da Dahrendorf quando afferma:« E' già chiaro che domani il lavoro non sarà più la forza dominante nella vita degli uomini.Non può essere che sia il principio delle libere attività a diventare la forza trainante di un altro mondo?». ((29))

Marcuse, sia pure da un'altra visuale, si fa portavoce della istanza emancipatrice di liberazione dal lavoro: « Poiché la durata della giornata lavorativa costituisce essa stessa uno dei principali fattori repressivi imposti dal principio di realtà al principio del piacere, la riduzione di questa durata fino al limite in cui il puro tempo lavorativo non blocchi più lo sviluppo umano, è la prima delle condizioni preliminari della libertà. ((30))

...Uno scenario non dissimile può essere fatto dipartire dall'altra variante marxiana: la liberazione del lavoro.In questo caso il processo evolutivo è simile, tranne che l'avvento post-industriale è descritto ricorrentemente come il contesto delle nuove professioni, della libertà di scelta, della realizzazione nel lavoro, i cui connotati di necessità, strumentalità, vengono progressivamente espunti, fino a scomparire...

Servan-Schreiber (uno degli epigoni di questa corrente di pensiero) scrive: « per ogni funzione informatizzata sono necessari, e ne saranno sempre più, dieci, cento, mille cervelli, i quali compongano, formulino, immaginino, progettino e si suddividano i compiti dell'ambito programmatico, il quale potrà radicarsi solo in un corpo sociale sempre più intellettualmente sviluppato, creativo».((31))

Per Schaff, infine, « il nocciolo della questione è che il tipo di lavoro a cui l'uomo è stato condannato dalla maledizione di Geova, fisicamente faticoso o intellettualmente stressante, scomparirà del tutto.Questo tipo di lavoro, sia manuale che intellettuale, sarà affidato alle macchine e ai robot, per cui l'uomo ne sarà liberato». ((32))

In sintesi possiamo affermare(continua Orsi) che il primo scenario può essere convalidato dai seguenti trends: la riduzione della giornata lavorativa, riduzione che sembra incedere senza soluzione di continuitá; il ritardato ingresso nella vita attiva che è dato dai due elementi prìncipali riguardantì la disoccupazione giovanile e l'innalzamento degli anni di permanenza nel sistema formativo; la disoccupazione tout court, che mostra l'evidenza di un sistema economico a tecnologia di job kill; il prodursi di una fascia socìale sempre più consistente di anziani pensionati in condizione di non lavoro.

Siamo in sostanza alla conferma di un trend che indicherebbe una forza lavoro in costante calo, tenendo conto del fatto che già ora essa costituirebbe solo il 40% di tutta la popolazione.

Il secondo scenario, tutt'altro che contraddittorio rispetto al primo, si basa invece sugli effetti positivi delle nuove tecnologie sulla qualità del lavoro .

Anche per esso esiste una feno menologia alla quale riferirci: i nuovi modelli organizzativi che valorizzando la risorsa umana, instaurano relazioni lavorative dì tìpo simmetrico non gerarchico; la cultura della flessibilità e della mobilità che consentirebbe ai più di poter esperire una quantità di lavori in funzione dell'esplicazione delle proprie potenzialità; la diffusione, per fare un altro esempio, del lavoro autonomo e indipendente che permette di superare la dicotomia - del resto superata anche nel primo scenario - tra tempo di lavoro e tempo libero.

Qui la crisi della società del lavoro va letta nel senso che iI lavoro perde totalmente i caratteri tradizionali di pena, sofferenza, eteronomia,fino appunto a confondersi, 'per sostanza', con iI tempo libero.

Il primo scenario drasticamente ci parla dell'abolizione del lavoro, il secondo della sua trasfigurazione. L'approdo, tuttavia, appare identico: la fine del regno della costrizione, l'avvento della possibilità di autorealizzazione, il dominio del principio di piacere.Ambedue gli scenari delineati, in definitiva, vanno ad inscriversi nella terza fase evolutiva, quella post-industriale.

...C'è naturalmente chi evidenzia i limiti di una tale visione eccessivamente ottimistica: Luciano Gallino chiarisce che la fase post-industriale si porta con sé la dequalificazione di ampi strati del lavoro umano, lo svuotamento di certi mestieri e funzioni.ne è un esempio il diffondersi del lavoro tayloristico negli uffici automatizzati e delle mansioni di manutenzione e pulizia. Un altro aspetto da non sottovalutare è la dilatazione del lavoro precario. ((33))



E questa è una realtà che non appartiene solo all'Italia. è noto il caso degli Stati Uniti, ma anche il Giappone sembra esserne coinvolto. E il precariato non è certo da considerarsi indice di qualità. Altro problema, sul quale non bisogna stancarsi di richiamare l'attenzione, spesso singolarmente ignorato dai profeti del post-industrialismo, è relativo alla forza lavoro di immigrazione verso le società del benessere. Ormai studiosi di demografia hanno individuato da tempo i bacini a rischio, tra i quali spiccano l'area del Maghreb, l'area dei paesi del'Est Europeo, l'area dell'America Centrale.

Nei prossimi anni le previsioni sono non di qualche milione, ma di decine e decine di milioni di uomini che si sposteranno, alla ricerca di lavoro, verso iI mondo dello sviluppo. Già guest'ultima considerazione non consente di andare molto lontano con utopie del tipo 'la società delle attività'.((34))



Ma vi sono anche altre considerazioni da fare. Negli anni '70 molti studiosi si erano convinti che il lavoro fosse caduto di importanza tra le nuove generazioni. AI limite si lavorava o si desiderava un lavoro solo per motivi strettamente strumentali, per poter sopravvivere. Ciò ha condotto, nei casi estremi, a teorizzare la possibile diffusione del rifiuto de lavoro.((35))



Niente di tutto questo si è però verificato: molte indagini sulla condizione giovanile, condotte nel decennio '80,hanno inequivocabilmente dimostrato che il lavoro è comunque importante, e questo non solo per i giovani. E' circa l'80% della popolazione giovanile che indica l'esperienza lavorativa come rilevante nella propria esistenza ((36))

...Non è dunque da escludere che se i primi anni '70 indicavano nel lavoro una centralità politica (luogo di trasformazione sociale), gli anni '80, raccogliendo una eredità e reinterpretandola, vedono una centralità del lavoro prettamente economica e realizzativa. D'altra parte una indiretta conferma proviene da Hirschman ((37)), il quale sostiene la possibilità di rintracciare nel corso della dinamica storica, andamenti ciclici che vedono l'uomo ora entusiasta e appassionato per la partecipazione pubblica, ora ,deluso da quella, riempito di ardore per una realizzazione nel privato e nel mercato".



Fatta questa premessa, forse un po' lunga, ma necessaria per capire meglio anche le motivazioni delle risposte al questionario (vedi capitolo III) e accettato per convenzione.che la scuola serva al lavoro e che il lavoro serva alla 'vita', possiamo passare ad analizzare le caratteristiche di questo periodo -tra scuola e lavoro- che è oggetto ormai di studi specifici.



Già nel rapporto CENSIS relativo all'86 , esso viene definito " Il periodo della transizione, vale a dire l'intervallo di tempo tra *luscita dal sistema formativo e il conseguimento di un occupazione stabile".((38))

All' epoca di tale ricerca era caratterizzato da:

- un inasprimento del problema dell'occupazione giovanile (fenomeno che attualmente sembra essere in via di rientro);((39)

- un complesso intreccio di aspettative, comportamenti, spinte e controspinte verso il lavoro , con un rinnovato interesse dei giovani verso forme di lavoro autonomo o di microimprenditorialità (dato che verificheremo nell'indagine);

- una commistione evidente tra le esperienze di studio e quelle di lavoro, per cui si continua a studiare pur cercando lavoro o accettando lavori occasionali (spesso legati a cicli stagionali;

- uno svuotamento progressivo del principale istituto della transizione, vale a dire l'apprendistato ed il limitato decollo dei nuovi strumenti di raccordo tra offerta e domanda giovanile di lavoro (cioè i contratti di formazione lavoro ex art.3 legge 863/64).(vedi scheda II.6)



"A questo proposito è opportuno quantificare l'andamento del fenomeno dell'apprendistato (tab.II.23); come nel caso dell'occupazione giovanile il 1986 si presenta come l'anno dell'inversione di tendenza, ovviamente in senso positivo, anche per quanto concerne il numero degli apprendisti, che invertendo un trend discendente fino al 1985, aumenta nel 1986 di 41.210 unità, (+ 7,5%).

Ma, nello stesso periodo, inizia la concorrenza, dovuta agli sgravi fiscali previsti dalla legge, dei contratti di formazione lavoro (tab.II.24): dal maggio 1984 (entrata in vigore della normativa) al dicembre dello stesso anno, i giovani avviati erano 10.694; nel 1985 sono stati 108.434; nel 1986 sono raddoppiati raggiungendo i 229.168 e (come si ricava dalla tab.25 del 25^ rapporto Censis) hanno raggiunto i 529.297 nel 1989 per decrescere del 12% nel 1990.

Lo strumento sembra quindi avere raggiunto i suoi limiti anche perché , allo scadere dei due anni i contratti possono non risolversi in assunzioni e, di fatto (come dimostra l'inchiesta di Ferrara, Cfr.scheda II.6) sembrano essere più uno strumento per agevolare le imprese (più mobilità e meno oneri sociali) che un sostegno all'occupazione.

Di segno non differente sembrano essere anche i più recenti provvedimenti governativi (vedi Scheda II.8).

Se poi si guarda alla ripartizione geografica, si vede ancora una volta, l'enorme disparità tra Nord e Sud (tab.II.25), compensata solo in parte dalla legge 44 del 1986 destinata alla costituzione di nuove imprese (società e cooperative) nel Mezzogiorno (tab.II.26).

Dal punto di vista della posizione professionale, c'è una tendenza all'aumento del lavoro autonomo: la categoria "imprenditori e liberi professionisti" tra i giovani dai 14 ai 29 anni, passa da 99.000 unità dell'85 alle 100.000 dell'86 (tab.II.27) , però con una diminuzione tra le femmine del 4%.

Quanto all'altro versante, quello dell'istruzione, cosa si è fatto per preparare i giovani alla "transizione"?

Citiamo ancora una volta l'articolo della Barlacchi, responsabile ufficio speciale sperimentazione presso la direzione generale Istruzione Professionale del Ministero P.I., ((40)):

Presso la Direzione Generale dell'Istruzione professionale sono allo studìo curricolì post-qualifica del tutto nuovi impostati su tre direttrici fondamentali:

- realizzazione di una collaborazione istituzionale con il sistema di formazione professionale regionale;

- offerta di un corso di studi a forte impìanto scientifico e tecnologico, tale da far conseguire livelli adeguati all'acquisizione di un diploma di maturità e nel contempo da costituire cardine culturale .su cui innestare gli interventi formativi regionali differenziati e fortemente finalizzati a specifiche professionalità;

- integrazione del curricolo con un itinerario formativo finalizzato all'acquisizione di professionalitá di 2 livello, che realizzi la necessaria mediazione tra istanze formative di valenza nazionale e specifiche esigenze territoriali in un'ottica coerente con le strategie che hanno informato, a livello di qualifica, il 'Progetto '92 .

Tale .soluzione integrata, in cui possono reciprocamente elidersi i maggiori limiti connessi alle diverse vocazioni istituzionali, si presenta di grande efficacia e duttilità, idonea a far compiere un rilevante salto di qualità al sistema formativo nel nostro Paese.

Lo schema di biennio post-qualifica che si va delineando, cerca dì trovare la massima sinergia possibile tra le opportunità offerte dalla scuola e quelle insite negli ordinamenti della formazione professionale regionale.

Tale curricolo comprende:

1) un insieme di discipline che costituiscono contributo alla crescìta culturale della persona e condizione di accesso al sapere professionale articolate in:

a) insegnamenti umanistico-scientifici;

b) insegnamenti tecnologici organizzativi;

2) un insieme di occasioni di professionalizzazione appositamente organizzate in funzione dei bisogni di un individuato mercato del lavoro, finalizzate a:

c) acquisizioni di attitudini ed atteggiamenti orientati all'inserimento nei vari ambiti di attività professionale;

d) apprendimento di capacità operative riferite allo svolgimento di uno specifico ruolo lavorativo.

Mentre è evidente la vocazione per la scuola a svolgere il punto a) e per le Regioni a svolgere il punto d), le funzioni di cui al punto b) e c), che in parte trascendono i ruoli storici consolidati dei due sistemi formativi, vanno programmate e svolte secondo un disegno comune perché costituiscano interfaccia proficuo, ferma restando l'ìndividuazione dell'àmbito scolastico per la prima e regionale per la seconda.

Il curricolo dei corsi post-qualifica integrato è strutturato in un biennio caratterizzato da due pacchetti formativi, l'uno di organizzazione scolastica (60%), l'altro di organizzazione regionale (40%).



A) Organizzate in sede scolastica

I) area delle discipline comuni di formazione umanistica e scientifica 15 ore sett;

II) area delle discipline di settore 15 ore sett.

Totale ore annuali in sede scolastica.... 900

B) Organizzata in sede regionale

III) area di professionalizzazione

totale ore annuali in sede regionale ......... 600

Totale ore annuali curricolo integrato... 1.500

L'attività didattica della prima e seconda area si svolge in cinque giorni settimanali.

La quota di curricolo relativa all'intervento regionale si svincola dalle logiche organizzative della scansione settimanale del tempo-scuola.

Ad essa resta riservato un giorno di ciascuna settimana e moduli intensivi da svolgere nei mesi di giugno e settembre fino alla concorrenza massima del monte ore previsto.

Dal punto di vista dell'ordinamento curricolare la terza area concorre a costituire tempo-scuola a tutti gli effetti.

Nel curricolo così individuato le ore afferenti il terzo ambito ad organizzazione regionale costituiscono parte integrante del corso di studi.

Mentre spetta alla Regione, secondo Le esigenze del territorio e le logiche di mercato, l'individuazione delle specifiche professionalità cui la formazione è mirata, dovranno essere concordati con le singole istituzioni scolastiche gli interventi per il migliore innesto del pacchetto regionale sulla base scolastica, sì da garantire una globale coerenza dell'itinerario formativo.

A tal fine verranno poste ìn essere le più congrue forme di collaborazione tra i rappresentanti responsabili della scuola e della regione. Parimenti saranno studiati strumenti di coinvolgimento con esponenti del mondo della produzione. Ciò avverrá specialmente nella programmazione delle attivitá scuola-lavoro che dovrebbero costituire il nucleo centrale dell'intervento regionale.

AI termine del biennio gli allievi sosterranno prove per la validazione congiunta dei risultati. Conseguiranno, secondo le norme dei diversi ordinamenti:

- diploma di maturitá;

- qualifica di secondo livello.

Data l'unitarietà del curricolo, la conclusione con esiti positivi dell'itinerario formativo attinente la terza area, costituirà condizione imprescindibile per il conseguimento del diploma di maturitá.(41)



Questo per l'Istruzione Professionale, quanto agli altri ordini di scuola pochi, anche tra gli addetti ai lavori, sanno che, in seguito al secondo programma di Progetti pilota lanciato dalla Comunità Europea nella primavera dell'83 sono stati attivati in Italia "quattro Progetti, ciascuno dei quali articolato in due Sottoprogetti, individuati con le sigle «Terziario-turismo, Organizzazione e gestione amministrativa», «Agricoltura-Alimentazione» e «Tecnologie avanzate», realizzati in otto comprensori di altrettante regioni:oltre 200 scule secondarie di secondo grado coinvolte con più di 2.000 docenti e 22.000 studenti, con una vasta adesione di imprenditori, esperti ed esponenti locali" ((42))

Un esempio di tale progetto pilota è stato realizzato in provincia di Modena: Provveditorato agli studi,Camera di Commercio, AMFA (Associazione Modenese per la Formazione Aziendale) hanno costituito nella primavera del 1985 una "Agenzia Scuola-Mondo del Lavoro" alla cui gestione, dal giugno 1986, si è associata l'Amministrazione Provinciale di Modena, col concorso finanziario della Regione Emilia-Romagna e la valutazione esterna affidata all'IRRSAE Emilia-Romagna.



In sintesi ci sono stati diversi seminari (di 36 ore) destinate ai docenti, cui hanno partecipato 71 docenti delle scuole medie e 79 delle superiori; per gli allievi si sono svolti 5 corsi liberi in orario extrascolastico, frequentati da 116 studenti: i temi prevalenti erano sull'orientamento, l'economia e le tecnologie avanzate (informatica).

Inoltre aziende e camera di commercio hanno offerto borse di studio per stage estivi di 5 settimane agli allievi delle classi terze e quarte dell'Istituti superiori interessati(tecnico industriale e tecnico commerciale).

Per il quarto anno scolastico di attività (1986-87)," anno della disseminazione", si prevedevano diversi tipi di intervento:

- promozione in tutte le scuole della provincia della sperimentazione;

- attività di aggiornamento degli insegnanti;

- Visite e stages aziendali per docenti;

- Stages estivi per alunni;

- attività volte a favorire l'orientamento all'imprenditorialità;

- fornitura di materiale didattico alle scuole;

- attività collaterali.((43))



Infine, sempre su impulso CEE, l'importanza dell'orientamento ed iniziative per la formazione all'imprenditorialità, viene ribadita nel rapporto ISFOL 1990 ((44)) che riportiamo in scheda..II.9.

Anche il Ministero della P.I. sembra aver iniziato a recepire l'importanza dell'orientamento scolastico e professionale: lo conferma il documento del Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione ((45) ) che riportiamo in scheda II.10 e le cui direttive si spera verranno recepite dalla normativa auspicata dal progetto di riforma della scuola superiore.

1. COMUNE DI BONDENO,Piano Regolatore Generale,Relazione generale, stampata in proprio, marzo 1992

2. CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA E ARTIGIANATO DI FERRARA, Compendio statistico ferrarese 1988/89, Ferrara dic.1991, p.6

3. COMUNE DI BONDENO, Caratteri della struttura socio-economica di Bondeno, Bondeno 1975

4. PROVINCIA DI FERRARA, La popolazione provinciale e comunale al 31-12-90.Proiezioni 1995, Quaderni della provincia n.49, giugno 1991, p.25

5. La discrepanza tra il dato degli occupati, 7546, e la popolazione attiva (7796) è dovuto al numero dei disoccupati che "tecnicamente" vi sono assimilati. E' inutile, inoltre, sottolineare l'utilità di un confronto col censimento 1991, i cui dati , però , al momento, (febbraio 1994) non sono ancora disponibili).

6. Piano regolatore, cit., p.65

7. Ibidem, p.80

8. La Nuova Ferrara del 5-2-92 su dati del CDS riferiti al 1990. (non possiamo fare a meno di notare una contraddizione tra il numero di addetti attribuiti all'Eridania in questa tabella, rispetto all'inchiesta Cerved, il che testimonia la mancanza di uniformità nei criteri di rilevamento adottati).

9. illustrato a p.109 e 110 dello Scenario citato

10. Scenario, cit., pp-6-8

11. CDS,Annuario economico ferrarese 1990, p.305

12. CDS, Annuario economico ferrarese 1990, CDS edizioni, Ferrara 1990 pp.104-110

13. ad esempio, è vero che la tabella dice esserci bisogno di 767 insegnanti, così come è vero che il Piano Nazionale Informatica prescrive che alle elementari vengano impartiti gli insegnamenti di Informatica, Logica, Statistica e Probabilità, ma è altrettanto vero che non viene assunto nuovo personale per questo.

14. non è inutile ricordare che l'incontro tra domanda e offerta di lavoro è "viziato" anche dai meccanismi retributivi: infatti uno dei meccanismi adottati per contenere la disoccupazione giovanile è stato quello dei contratti formazione-lavoro in cui una parte degli oneri veniva assunta dallo Stato.

15. Amministrazione provinciale e CCIAA di Ferrara, "Il mercato del lavoro nel 1991", in Osservatorio sull'economia ferrarese giugno 1992, n.1 pp.14-15

16. "indicativo" perché non tutti i disoccupati sono iscritti al collocamento e, per contro, non tutti gli iscritti al collocamento sono disoccupati in senso stretto (lo sono ad esempio studenti che hanno svolto lavori stagionali); inoltre le cifre del collocamento agricolo "gonfiano" tali organici.

17. CENSIS, Nuovo ciclo nuove sfide.Rapporto sui processi formativi 1989, Milano, Angeli,1989, p.52

18. Ibidem, p.57

19. BOCCA G., "Formazione: un sistema a rischio" in Professionalità n.7 genn.febb.1992 pp.69-88

20. Vertecchi B. (a cura di), Scuola e industria.Innovazione didattica nelle scuole secondarie superiori, Iri-Confindustria Roma 1991 pp.148

21. Ibidem pp.125-139

22. SATTA G., "L'inserimento socio-professionale dei giovani in una prospettiva europea, in Scuola e industria,cit. pp.57-66

23. un indice particolarmente significativo, da questo punto di vista, è costituito dalla diffusione di esperienze di formazione professionale post-secondaria alternativa all'Università

24. DONATI C., "L'Europa della CEE", in Annali della P.I. n.5-6, settembre-dicembre 1991, Le Monnier, FI,pp.605-620

25. ORSI Marco,"Modelli di sviluppo e centralità del lavoro" in Professionalità n.7 gennaio-febbraio 1992, La Scuola, Brescia pp.11-21; preferiamo inoltre citare , qui di seguito, anche le note bibliografiche contenute nell'articolo, nell'intento di fornire utili indicazioni a chi voglia approfondire l'argomento

26. TOURAINE A., Lavoro e società, in G.P.Cella-P.Ceri (a cura di), Lavoro e non lavoro, Angeli, MI, 1986, p.199

27. CIPOLLA C.M., Storia economica dell'Europa pre-industriale, Il Mulino, BO,1974

28. Veblen Th., Teoria della classe agiata, 1899

29. DAHRENDORF R., Per un nuovo liberalismo, Laterza, Bari, 1987, p.172

30. MARCUSE H., Eros e civiltà, Einaudi, Torino, 1964, p.178

31. SERVAN-SCHREIBER J.J., La sfida mondiale, Mondadori, Milano, 1980, p.288

32. SCHAFF A., Il prossimo duemila, Editori Riuniti, Roma , 1985, p.121

33. GALLINO L:, Neo-industria e lavoro allo stato fluido, in P.Ceri (a cura di), Impresa e lavoro in trasformazione, Il Mulino, BO, 1988

34. BACCI LIVI M.-MARTUZZI VERONESI F., (a cura di) Le risorse umane del Mediterraneo.Popolazione e società al crocevia tra Nord e Sud, Il Mulino, BO,1990; AA.VV.,Abitare il pianeta.Futuro demografico, migrazioni e tensioni etniche, Fondazione Agnelli, TO,1989

35. GIRARDI G., Coscienza operaia oggi, De Donato, Bari,1980

36. GARELLI F., La generazione della vita quotidiana, Il Mulino, BO,1984; CAVALLI A.-DE LILLO A., Giovani anni '80.Secondo rapporto sulla condizione giovanile in Italia, Il Mulino, BO, 1988

37. HIRSCHMAN A.O., Felicità pubblica, felicità privata, Il mulino, Bologna, 1983

38. CENSIS, Educazione Italia '86.I sentieri della qualità, Angeli, Milano,1987, p.17

39. già nel rapporto dell'anno successivo (CENSIS, Educazione Italia '87.Tra eccellenza e tutela, Angeli,1988 p.121) si ipotizza l'86 come un anno di "svolta" che vede sempre più sfavorita la componente adulta dell'offerta di lavoro e diminuita contemporaneamente la tradizionale difficoltà di inserimento dei giovani nel mondo del lavoro.

40. BARLACCHI A.M.," Strategie sperimentali negli istituti professionali", in Scuola Viva, SEI, Torino, nn.2-3 febbraio 1991 p.19

41. In altra parte di questa ricerca abbiamo dato notizia dei primi corsi partiti in questa direzione anche nella nostra provincia

42. di tutto questo se ne trova traccia nel solito convegno di Roma ( 21 e 22 gennaio 1987) i cui atti "Dalla scuola al lavoro un obiettivo europeo" sono editi da Le Monnier in Studi e documenti degli Annali della P.I. n.40 settembre 1987

43. a cura del Provveditorato agli Studi veniva pubblicato mensilmente un bollettino ,ciclostilato, in 350 copie sullo stato di avanzamento del Sottoprogetto

44. ISFOL, Rapporto 1990.Formazione-Orientamento-Occupazione-Nuove tecnologie-Professionalità, Angeli, MI,1990 p.336

45. Consiglio Nazionale P.I., "L'orientamento scolastico professionale" in Rassegna Amministrativa della scuola anno X n.7, marzo 1991, pp.30-35