Saggi: La privatizzazione del mondo Postato il Giovedì, 10 marzo @ 11:51:15 CET
Argomento: Cultura
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«Ogni
giorno centomila persone muoiono di fame. È una strage che si consuma
in un pianeta le cui risorse alimentari potrebbero sostentare dodici
miliardi di individui, il doppio dell'attuale popolazione mondiale.
Quasi sempre sono vittime dell'unico imperativo che i nuovi padroni del
mondo conoscono: profitto senza regole. Jean Ziegler, La
privatizzazione del mondo, Milano, Il saggiatore, 2003
"Predatori",
così l'autore definisce coloro che prosperano al cuore del mercato
globale: sono banchieri, speculatori di borsa, dirigenti di
multinazionali. Nei loro uffici immacolati decidono chi deve vivere o
morire, forgiano le catene invisibili dei trattati commerciali con
l'unico scopo di massimizzare i guadagni evitando i controlli. Le loro
armi sono la corruzione, l'erosione dell'autorità statale e la
creazione di inattaccabili paradisi fiscali; i loro fedeli mercenari si
chiamano Fondo monetario internazionale, Organizzazione mondiale del
commercio e Banca mondiale. Dal suo osservatorio privilegiato di
relatore all'ONU per il diritto all'alimentazione, Jean Ziegler mette a
nudo i peccati della globalizzazione: le crisi economiche in Argentina
e Brasile, la devastazione della Nigeria per mano di dittatori e
società petrolifere, le banche delle Bahamas dove capitali legali e
denaro sporco si mescolano, la popolazione della Mauritania decimata da
una riforma agraria insensata. Ma il mondo non è ancora privatizzato,
esistono forze capaci di resistere ai nuovi padroni. Sindacati,
movimenti contadini, organizzazioni non governative possono fermare
questa avanzata e dare vita a una nuova società civile transnazionale
in grado di garantire una ripartizione più equa delle risorse e di
restituire agli esseri umani quella dignità troppo spesso calpestata.»
-Così recita la sovracoperta del libro di Ziegler, sociologo
dell'università di Ginevra, ex-parlamentare svizzero e oggi relatore
speciale all'ONU per il diritto all'alimentazione. Spietato nelle sue
analisi (riportiamo di seguito una pagina delle molte interessanti del
suo libro) è forse un po' troppo ottimista nelle conclusioni, visto che
l'ideologia del profitto ha ormai contaminato anche le istituzioni
pubbliche. Nel brano che segue individua le politiche che una nazione
deve adottare per ottenere il "consenso di Washington".-
«Il "consenso di Washington" mira alla privatizzazione del mondo. Ecco
i princìpi sui quali poggia:
1) In ogni paese debitore è necessario impostare una riforma della
fiscalità che segua due criteri di base: riduzione del carico fiscale
sui redditi più elevati al fine di incitare i ricchi a fare
investimenti produttivi, e allargamento della base dei contribuenti; in
altre parole, soppressione delle esenzioni fiscali per i più poveri al
fine di accrescere il volume dell'imponibile.
2) Liberalizzazione dei mercati finanziari nel modo più veloce e
completo possibile.
3) Garanzia di uguale di trattamento per investimenti autoctoni e
investimenti stranieri, per accrescere la sicurezza e dunque il volume
di questi ultimi.
4) Smantellamento, il più ampio possibile, del settore pubblico
attraverso la privatizzazione di tutte le imprese di proprietà dello
stato o di enti parastatali.
5) Massima deregolamentazione dell'economia del paese per garantire il
libero gioco della concorrenza tra le diverse forze economiche.
6) Rafforzamento della protezione della proprietà privata.
7) Promozione della liberalizzazione degli scambi al ritmo più
sostenuto possibile: l'obiettivo è abbassare le tariffe doganali del 10
percento ogni anno.
8) Dato che il libero commercio progredisce attraverso le esportazioni,
è necessario favorire in maniera prioritaria lo sviluppo dei settori
economici capaci di esportare i loro beni.
9) Limitazione del deficit.
10) Creazione della trasparenza del mercato: i sussidi dello stato agli
operatori privati devono essere soppressi ovunque. I paesi del Terzo
mondo che sovvenzionano, per mantenerli a un livello basso, i prezzi
degli alimenti di base devono rinunciare a questa politica. Per quanto
riguarda le spese statali, quelle destinate al rafforzamento delle
infrastrutture devono avere la priorità su tutte le altre.» |
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