Società e cultura: L'età di Pericle Inserito da paolog Giovedì, 10 maggio 2007 alle 08:39:18 CEST
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Che la storia non sia un processo di evoluzione lineare, ma piuttosto un susseguirsi di "corsi e ricorsi", quasi che le stesse vicende si ripetessero continuamente, lo diceva anche Vico. In effetti leggendo un libro (del viennese Fritz Schachermeyer, scritto nel 1969) su Pericle , che governò Atene dal 443 al 429 a.C., ho avuto l'impressione che molte situazioni si stiano ripetendo e che quindi ne possiamo trarre qualche insegnamento.
Ovviamente dal breve brano che qui riporto non tutte emergono, ma abbastanza per giustificare le analogie:" Ma si era adesso al punto che anche l'antico veniva sottoposto a verifica. Antico aveva un tempo significato venerando, ora subentrò il disgusto per ciò che era sorpassato. Ma anche le nuove leggi non sempre soddisfacevano. Il popolo le decideva di persona e capiva quanto fossero corruttibile opera umana. Si elevava a legge ora questa ora quella proposta, a seconda degli umori della maggioranza e dell'impegno di colui che l'aveva presentata. Cosi la democrazia si diede la zappa sui piedi anche nei confronti dell'autorità delle leggi.
Ne derivò che l'opinione pubblica per motivi utilitaristici rimase fedele allo stato, agli dei e, se gradite, alle leggi esistenti, ma svanì il vero rispetto perché non c'era più un posto adeguato per essi nei cuori della nuova generazione del benessere. Ma tanto più si tranquillizzavano gli dei e la propria coscienza facendo mostra di sacrifici, vuote frasi e pie riverenze.
Abbiamo cosi a che fare, nei confronti dello stato e degli dei, con il medesimo sovvertimento di valori. Sia qui che là l'individuo si è messo in primo piano e nella sua superbia si è infine considerato cosi importante da elevarsi al di sopra delle potenze metafisiche e delle divinità della polis. Le quali dovevano però continuare ad esistere per ragioni di utilità. Si eresse cosi una facciata di patriottismo e di religiosità esteriore, di frasi e bei discorsi, simili a quelli dell'età ciceroniana. Si costituì un modello civico nel quale il sano buon senso venne stritolato tra il rigido dogmatismo politico e l'ipocrita autocompiacimento. ... Non senza disappunto si capiva che il vero periodo aureo non era la convulsa età moderna, ma la semplice epoca passata.
Chi rifiutava di guardare al passato, si rifugiava nell'utopia: quando ancora tutti ottemperavano agli obblighi derivanti dal loro censo e dalla loro professione, quando ancora non si viveva del lavoro degli affittuari e degli schiavi, nessuno pensava a vagheggiare una sorta di paradiso terrestre. Ora con il benessere il problema di questa beata prosperità diventava attuale, configurandosi come l'«età di Crono» (significativamente Cronos è il tempo: vale a dire l'età in cui ciascuno ne aveva e poteva disporne liberamente n.d.r.) : un benessere modesto non bastava più, si reclamavano condizioni ancora migliori.
L'Atene di Pericle non era di fatto un paradiso e nemmeno un eldorado, ma la prosperità generale si era elevata a tal punto da rendere possibile l'affermarsi nella nuova generazione di un sentimento di boriosa autosicurezza. La lotta per l'esistenza aveva stimolato nelle generazioni precedenti le capacità positive. Ora sembrava invece che non ci fosse più bisogno di lottare e veniva perciò meno ogni stimolo. La nuova generazione, mancando della spinta che di solito danno la necessità e il pericolo, diventò pigra e indolente. Già nell'ambito familiare il cosiddetto schema trigenerazionale rivela questa tipica successione: mentre la prima generazione avvia un'impresa con il duro lavoro e la seconda ne amplia le dimensioni, la terza mette a repentaglio con leggerezza e tracotanza tutto quello che ha ereditato. Qualcosa di simile avviene spesso anche nella storia. Anche qui il benessere è alla lunga tollerato senza conseguenze negative, se viene collegato alla disciplina e a un comportamento rigoroso...
Questo per quanto riguarda la «generazione del 462» che si potrebbe chiamare quella dei «combattenti di Tanagra e di Samo». Naturalmente c'erano anche numerose persone insoddisfatte, come dimostra il tentativo di Tucidide di spingere il popolo alla rivolta. La maggioranza continuava però a stare dalla parte di Pericle e le decisioni erano alla fine tutte a suo favore. Tutto questo si svolgeva nel segno di una libertà equilibrata e non ancora logora.
In quest'epoca felice cominciarono però, come abbiamo più volte ricordato, ad acquistare importanza due fonti di pericolo: il benessere (in sé cosi gradevole e per giunta accoppiato alla potenza) e la libertà che proprio per questo benessere si trasformava a poco a poco in hybris. Se i coraggiosi combattenti di Tanagra e i contemporanei di Pericle si lasciarono influenzare ben poco da tali pericoli, tanto più questi trovarono fertile terreno nelle generazioni cresciute solo nell'epoca della prosperità.
Le seguenti considerazioni non possono perciò che riguardare i figli del benessere. Esse ci dimostreranno come Pericle abbia perduto anche nel proprio ambiente il contatto con le generazioni successive, dato che la «generazione del 435» era la meno disposta a inquadrare l'esistenza democratica in un ordine e in una rigida disciplina civica. Si è concentrato in quel momento storico tutto ciò che può minacciare la gioventù: l'eccessiva libertà e prosperità, unita al razionalismo sofistico.
Infatti le dottrine razionalistiche stimolavano sempre più il desiderio di libertà, e la legge sofista dell'uomo misura di tutte le cose risvegliava un frivolo individualismo anche nei minorenni.Certo i giovani dei ceti inferiori privi di cultura potevano esserne sedotti solo gradualmente. Per la jeunesse dorée dell'ambiente pericleo e presto anche per tutte le famiglie più ricche questo tipo di educazione razionalista rappresentava invece una moda e ogni giovane desiderava essere allevato nei dettami sofistici.
Erano comunque svanite le speranze di Pericle di conservare a tutti i costi lo stato come valore cardine, insieme a un comportamento elitario volontariamente assunto, e allo stesso tempo di far recepire all'uomo colto i liberi insegnamenti della ragione. Ci sembra che i padri, assai occupati, abbiano troppo affidato ai sofisti l'educazione dei figli e se ne siano poco interessati, pur esaudendo a volte per cieco amore ogni desiderio della prole.
Dai sofisti questa gioventù accolse con distacco l'insegnamento filosofico, ma fece propria con entusiasmo la spinta verso una superiore libertà dello spirito e verso una egoistica tendenza al successo.
(sottolineatura nostra).
Cosi questa gioventù percorse, senza chiedere consiglio ai maestri, la strada di un'interpretazione egocentrica della filosofia sofistica che venne ancor più rafforzata dall'insegnamento della retorica nei dettami di Gorgia. I giovani sprizzavano spirito e frivolezza, sognavano ogni genere di novità, una vita di piaceri e il potere. "
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