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Saggi: Globalizzazione e disuguaglianze Postato il Mercoledì, 02 giugno @ 00:00:00 CEST
Argomento: Lavoro
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Nell'anniversario
della repubblica e alla vigilia del voto, vale la pena di soffermarsi a
riflettere su alcune affermazioni di Luciano Gallino, ordinario di
Sociologia all'Università di Torino, tratte dal suo libro
"Globalizzazione e disuguaglianze", Laterza editore, 2000, che vi
consigliamo caldamente di leggere.
...Val la pena di notare che
nel 1975, con una popolazione cresciuta di quasi 6 milioni di unità, il
numero di persone in cerca di occupazione rilevato dall'ISTAT era quasi
identico al 1960: 1.226.000 rispetto a 1.215.000. I corrispondenti
tassi di disoccupazione erano del 5,6 e del 5,9 per cento: poco meno
della metà del tasso odierno. Nell'anno che per convenzione si può
considerare di svolta quanto a sviluppo della globalizzazione, il
suaccennato 1980, il numero dei disoccupati supera i 2 milioni, per
stabilizzarsi poi, durante tutto il successivo ventennio, tra i 2,5 e i
2,8 milioni. Nell'ottobre 1999 le persone in cerca di occupazione
rilevate dall'ISTAT - sebbene, va notato, con criterii differenti
rispetto al periodo precedente il 1992 - erano 2,6 milioni, pari
all'11,1 per cento.
All'affermazione che la crescita, l'occupazione e la produttività sono
tangibilmente declinati, anziché aumentare come asserito dai suoi
fautori a mano a mano che la globalizzazione avanzava, si può obiettare
che ciò sarà stato vero per i paesi UE, ma non per gli Stati Uniti. I
primi avrebbero semplicemente sofferto del fatto che la loro marcia
verso la globalizzazione era ed è ancora incompleta. Sono i dati
americani a dire il contrario. Se si divide il secondo dopoguerra in
due periodi, 1946-73, e 1973-fine anni Novanta, si osserva che il primo
è stato un periodo in cui i redditi sono rapidamente cresciuti, mentre
i benefici della crescita economica erano ampiamente distribuiti. In
tale periodo il salario reale dei lavoratori dipendenti è cresciuto di
oltre l'80 per cento. Dal 1973 alla seconda metà degli anni Novanta,
per contro,
esso è diminuito del 20 per cento. Se l'aumento delle retribuzioni
delineatosi nella seconda parte del decennio proseguirà, i lavoratori
americani possono sperare di recuperare verso il 2010-2015 il medesimo
potere d'acquisto di cui disponevano all'inizio degli anni Settanta.
Molte fonti concordano anche sul fatto che la povertà e la
disuguaglianza negli Stati Uniti sono considerevolmente aumentati negli
ultimi decenni. Con una novità: non soltanto i disoccupati di lungo
periodo, ma anche i salariati a tempo pieno sono scesi in gran numero
sotto la soglia della povertà relativa. Di fatto, il 30 per cento dei
salariati americani percepiva nel 1999 un salario inferiore ai due
terzi del salario mediano. Ciò spiega verosimilmente come mai, grazie
anche agli interventi ricompresi nella cosiddetta «guerra alla
povertà», il tasso di bambini al di sotto della soglia della povertà
fosse sceso dal 27 per cento del 1960 al 14 per cento nel 1973, mentre
nel 1993 esso era risalito al 23 per cento. Inoltre quasi tutti gli
aumenti di reddito derivanti dalla crescita economica nell'ultimo
decennio sono andati al 5 per cento più ricco delle famiglie americane.
In tal modo, secondo dati del Bureau of Census, il reddito di detto 5
per cento, che nel 1980 superava di 6,8 volte il reddito del 20 per
cento più povero tra le famiglie americane, nel 1998 è arrivato a
superarlo di 8,2 volte. La polarizzazione delle condizioni di vita, in
effetti, sembra essere l'effetto più comune della globalizzazione.
Se dai paesi avanzati si passa al resto del mondo, si scopre che il
numero totale dei disoccupati non è mai stato così alto come all'epoca
della globalizzazione. Il Bureau International du Travail stima che al
volgere del secolo su circa 3 miliardi di individui che rientrano in
totale nelle forze di lavoro, oltre 1 miliardo sia disoccupato o
sottooccupato.
op.cit. pp.102-103 |
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